Intervista a Laura Supino

Il giorno 26 febbraio 2021 le classi quinte del nostro istituto hanno avuto la possibilità di incontrare la D.ssa Laura Supino, una donna ebrea che da bambina, insieme alla sua famiglia, ha dovuto subire le persecuzioni dei nazi-fascisti. 

Cosa significa realmente la parola “Shoah”?

Shoah significa tragedia, disastro. È la tragedia che ha colpito il popolo ebraico dell’Europa nazista. Una volta saputo ciò che era accaduto ci siamo ritrovati catapultati in uno stato d’angoscia e abbiamo dovuto assistere inoltre a molte incomprensioni sul fatto che qualcuno potesse pensare che questo Giorno della Memoria possa includere altre memorie, ma il 27 gennaio è dedicato al giorno in cui l’armata rossa scoprì la verità legata alla tragedia della distruzione programmata del popolo ebraico da parte dei tedeschi che vivevano nelle loro zone. La particolarità di questa persecuzione ha una storia talmente a sé che questo giorno può essere dedicato solo a questa vicenda. Noi sopravvissuti viviamo con un dolore immenso che non si può evitare di provare, poiché molti di noi si sentono quasi in colpa di non aver vissuto le stesse tragedie dei nostri fratelli. Ad esempio, la mia compagna di banco in quel periodo era stata portata via e non è mai più tornata e io continuavo a chiedermi: “Perché questo destino diverso?”.

Io ho avuto la fortuna di non essere stata deportata ma so bene come ci si sente a vivere con le limitazioni date dalle leggi razziali e come si deve tornare a vivere successivamente a questo periodo difficile per tutti. Soprattutto rendersi conto del dolore che i nostri fratelli avevano provato e pensare a tutti quelli che erano stati deportati e uccisi. Per me chi riusciva a parlare di ciò che aveva vissuto meritava di essere elogiato.

Come evolse la vostra vita in questi tempi difficili?

Nel ’38 vennero emanate le leggi razziali, ma erano già state precedute dal Manifesto della razza: un gruppetto di scienziati italiani aveva dimostrato che gli ebrei erano una razza inferiore. Quel manifesto sembrava un’innovazione della scienza, ma nel giro di due mesi sono nate le leggi razziali e da quel momento gli ebrei non potevano più svolgere i lavori normali. Io avevo otto anni, con le leggi razziali non potevamo più andare in una scuola pubblica, ma le comunità ebraiche avevano delle scuole private e, rimanendo ufficialmente cittadini italiani, avevamo l’istruzione data dallo Stato. 

Non stavamo più con i nostri compagni e dovevamo cambiare il percorso per arrivare a scuola per non trovare persone che ci ostacolavano. Fino al ‘43 dovevamo vivere con molte limitazioni, ad esempio la domenica facevamo molti picnic in campagna (che io trovavo noiosi). Alla fine della guerra mio padre mi ha spiegato che quelle passeggiate servivano nel caso fosse successo qualcosa di terribile e per farci abituare a compiere lunghe camminate nel caso in cui dovevamo scappare di casa. Le difficoltà arrivarono con l’occupazione nazista nel settembre del ‘43 quando lo Stato italiano ha chiesto l’armistizio agli alleati e automaticamente i tedeschi in Italia erano diventati gli occupati e non più alleati. A Roma i tedeschi obbligarono noi ebrei a dare i chili d’oro, altrimenti avrebbero portato via i padri di famiglia. L’oro doveva essere dato in 24 ore e la mia famiglia è andata a consegnarlo, ma mia madre non voleva che io arrivassi fino alla comunità per paura che potessimo essere arrestate, quindi l’ho dovuta aspettare: se entro un’ora e mezzo non fosse ritornata sarei dovuta tornare a casa da sola. Mia madre tornò. Dopo due settimane, i tedeschi tornarono con diversi camion, depredarono la biblioteca della comunità piena di pezzi unici destinati ad essere esposti nel Museo delle razze estinte dei tedeschi. La comunicazione di radio Londra ci aiutava a rimanere al corrente di quello che accadeva al di fuori, ma nessuno sembrava essere al corrente delle cose terribili che stavano accadendo. 

Eravamo nelle liste della polizia italiana, che i tedeschi avevano; giravano per i quartieri e portavano via le persone, molti sono riusciti a lasciare in tempo la loro casa. Noi siamo stati svegliati da uno squillo di telefono e dovevamo uscire separatamente in direzioni diverse e rivederci a casa di nostra nonna ad un chilometro di distanza. Quando ci siamo riuniti sapevo che sarebbe durato poco, perché non potevamo vivere tutti insieme. Un’amica di mio padre, socialista, ci consigliò di andare a vivere in un locale per i cassoni, contenitori di acqua in eternit, per 2 o 3 giorni. In seguito una persona fidata aveva avvisato mio padre che una famiglia che abitava nella stessa strada era disposta ad ospitare me e i miei fratelli. Io però non ho nessun ricordo di quella passeggiata. Quella famiglia è stata così coraggiosa ad ospitarci e a trovarci un posto nella scuola cattolica. I veri amici si riconoscono. Frequentavamo collegi diversi e i miei genitori trovarono un posto sull’Alberone.

Per chi conosce Roma, sa che l’Alberone è sulla via Appia ed era molto lontano dalla zona dei nostri collegi. I nostri genitori, durante i nove mesi, facevano un percorso di diversi chilometri per venirci a trovare. Lo facevano a piedi e non in tram perché era pericoloso in quel periodo, dato che i tedeschi fermavano i tram e arrestavano tutte le persone che erano all’interno. Quindi o mamma o papà venivano a trovarci, sempre a distanza di minimo quindici giorni ed era terribile perché non sapevamo cosa poteva succedere in quei quindici giorni di intervallo.

Come era la vita in questi collegi?

 Vorrei ricordare due fatti successi mentre eravamo in collegio. Un giorno arrivai nel nostro dormitorio e trovai una delle mie amiche di collegio a letto e lì vicino un ragazzo in divisa delle SS. Io non capivo perché, forse era un tranello o roba del genere? Invece era semplicemente il fratello di questa compagna di collegio che era venuto a trovarla, un ragazzo di una famiglia romana abbastanza conosciuta, biondo, giovane, con gli occhi azzurri, sembrava un tedesco, era uno dei pochi italiani che, indossando la difesa di SS, poteva fare la spia. Essendo italiano e riuscendo a capire ciò che diceva la gente anche per strada poteva arrestare con più facilità gli ebrei rispetto ad un tedesco. Io sono andata via subito, non so quanto lui sia rimasto, però è stato un momento di grande spavento, quando invece era solo una cosa sciocca. L’altro fatto che invece è avvenuto mi ha lasciato tanta tristezza perché, ancora ora, se ci penso, non riesco a dimenticarlo. La mattina andavamo a scuola nello stesso edificio del collegio e nei giorni di bel tempo si poteva passare l’intervallo in giardino. Un giorno, vediamo che un ragazzo da fuori dal cancello del giardino delle suore chiamava con insistenza una delle mie compagne di classe, lei andò al cancello, parlarono per 5 minuti e questo ragazzo poi gli diede un foglietto. Allora noi, essendo ragazzine di tredici anni, abbiamo cominciato a prenderla in giro, dicendo che era il suo fidanzato ad averle portato quel biglietto, e la ragazza, poverina, non sapeva come spiegarci che quel biglietto era totalmente diverso. Quando poi sono arrivati gli americani, il primo giorno in cui ci siamo sentiti liberi, lei è potuta venire a spiegare quel foglietto che le era stato dato alla fine di marzo: c’era scritto che il padre, un ufficiale cattolico, era stato ucciso dai tedeschi. Immaginarsi quindi, come delle ragazzine, in un periodo di difficoltà, di pericolo e di persecuzioni siano state sciocche nel prendere in giro quella povera ragazza che aveva appena saputo della morte del padre. Questi due piccoli fatti possono farvi capire come anche vivere in collegio aveva delle difficoltà, dovevamo stare molto attenti per la nostra sicurezza ma altre persone stavano soffrendo quanto noi o peggio. Io stavo separata da mia sorella ed ero molto preoccupata per lei che, essendo bambina delle elementari, stava solo con le bambine piccole e non sapevo mai cosa poteva succederle. 

Come è avvenuta la liberazione?

La cosa assurda era che in Francia la deportazione fosse avvenuta nel 1941, in Europa gli ebrei venivano portati via da altri paesi da anni eppure, nonostante Radio Londra, di queste notizie non si parlava abbastanza. A questo proposito vorrei dire che c’è anche una grande responsabilità da parte dei governi alleati, che in realtà sapevano e non vollero prendere provvedimenti per non creare problemi nell’organizzazione delle manovre militari, degli sbarchi che dovevano avvenire o altre situazioni del genere. Ad ogni modo siamo arrivati al momento della liberazione, il 4 giugno del 1944, gli americani sono arrivati a Roma. Una cosa incredibile, già due giorni prima vedevamo, da questo famoso cancello del collegio, i tedeschi fuggire con dei carretti, su asini o sulle biciclette. Mentre fino a tre giorni prima erano ancora tutti baldanzosi, in quei due giorni prima dell’arrivo degli americani i tedeschi erano tutti vestiti male, tutti che gettavano le loro divise per non farsi riconoscere. Dopo il 4 giugno, la madre superiora ha organizzato una passeggiata per noi ragazze del collegio, eravamo poche in quel momento e siamo arrivate fino a Piazza di Siena dove c’era un accampamento americano, per vedere questi bellissimi soldati americani che ci avevano liberato: è stata una commozione incredibile. Per noi si capiva che cominciava un nuovo periodo e non sapevamo però cosa avremmo scoperto. In pochi giorni c’era stato una specie di tam-tam sulle pochissime notizie che ancora si avevano sulle persone che erano state portate via, i nostri parenti, amici, e la mia compagna di banco che non erano tornati. Quindi il periodo abbastanza felice della liberazione è stato invece sconvolto dalla constatazione che noi abbiamo dovuto fare di quanti non c’erano più, poi abbiamo saputo tutto il resto, tutto quello che era successo in Europa e allora abbiamo capito che cosa terribile fosse accaduta senza riuscire a comprendere il motivo per cui una cosa del genere potesse essere avvenuta. Queste spiegazioni sono anche abbastanza banali, devo dire, perché in fondo quella che è la nostra storia personale diventa niente in confronto a quello che è successo a tante persone nei campi di sterminio. Un programma molto preciso dal punto di vista politico, scientifico e anche esecutivo per migliorare l’eliminazione degli ebrei. Per questo noi ci teniamo che questo 27 gennaio sia veramente dedicato alla memoria della Shoah, perché ci sono state altre eliminazioni, altri delitti terribili, altri popoli che hanno sofferto nello stesso periodo, ma la determinazione con cui i tedeschi hanno programmato lo sterminio degli ebrei è una questione unica e non può essere mescolata ad altre cose. Poi c’è la famosa frase “mai più”, gli uomini avrebbero dovuto imparare qualcosa da quanto accaduto, ma anche dopo la fine della seconda guerra mondiale ci sono stati degli esempi tragici. Ricordiamo Pol Pot, un dittatore cambogiano che ha ucciso milioni di suoi concittadini, che non appartenevano a razze diverse, era solo un’eliminazione politica, egli non si è fermato davanti a nulla.

Pensiamo anche a quanto è avvenuto in Argentina, dove le autorità hanno eliminato decine di migliaia di giovani argentini, quindi loro fratelli, con un sistema automatico e meccanico molto rapido facendo una pulizia nel loro stesso popolo assolutamente tragica. Quindi queste cose sono successe e dopo è come se quello che è avvenuto nella seconda guerra mondiale non fosse servito a niente. Dunque dobbiamo, in ogni caso, ricordare i nostri fratelli, ma ricordare anche tanti altri perseguitati per motivi politici, che sono sempre un peso enorme, ed è molto difficile sperare che le democrazie riescano veramente ad avere la meglio.

Gli atti di razzismo e antisemitismo, nonostante le testimonianze dirette di sopravvissuti come lei, purtroppo ancora continuano ad avvenire. Cosa pensa possa accadere in un futuro, nel quale non ci saranno più testimoni diretti? Qual è il suo pensiero sul futuro? 

Il fatto che ci sia ancora del razzismo in generale, non solo contro gli ebrei, dei movimenti politici decisamente anti-ebraici, delle contestazioni su degli avvenimenti che ci hanno riguardato e anche il fatto che vogliano sminuire l’importanza della tragedia della Shoah, paragonandola ad altri eccidi, ad altri stermini fa parte della mentalità politica di alcune persone, devo dire fa parte della non conoscenza della storia, perché negare l’evidenza è assurdo. Si possono dare tutte le interpretazioni possibili e dare le colpe agli ebrei, perché alla fine sembrava quasi fosse colpa degli ebrei se i tedeschi li hanno perseguitati, accusandoli di essere i manipolatori dell’economia mondiale, ma non si sono mai chiesti perché in proporzione al numero limitato di ebrei una gran parte di loro sono stati medici, dottori, scienziati, economisti o perlomeno persone di un certo livello dal punto di vista della cultura? Perché nell’ebraismo l’educazione è un obbligo, infatti, attraverso i secoli in tutte le comunità, anche le più piccole e le più povere, se c’era anche una piccola famiglia di ebrei, c’era la scuola. Quando nelle altre “civiltà” il fatto dello studio era riservato solo ai maschi ricchi, nell’ebraismo tutti i bambini in tutte le epoche storiche hanno avuto la loro scuola e la loro istruzione per imparare a leggere, a scrivere e a far di conto. Quindi, pensate solo a questa piccola differenza rispetto ad altre culture: l’istruzione è sempre stata fondamentale, anche se lo scopo principale era leggere i libri di preghiera, ma avendo una base si potevano proseguire gli studi e quindi essere di aiuto agli altri. Che poi ci siano dei denigratori, persone che pur di far parlare di sé devono dire cose assurde, mettendosi in vetrina e contraddicendo anche fatti oggettivi, è preoccupante. Dunque bisogna essere molto attenti perché c’è chi è influenzato da queste informazioni sbagliate che possono creare dei gruppi di persone convinte di asserzioni che non stanno né in cielo né in terra.

Sa se i tedeschi facessero irruzione all’interno di conventi o scuole cattoliche, dato che i bambini ebrei venivano tutelati? Come è successo a lei e la sua famiglia?

Questa è una domanda molto interessante, perché in realtà le prime retate dei tedeschi tra le varie zone e regioni italiane sono avvenute in momenti molto diversi, ad esempio a Roma in ottobre, a Firenze a novembre, a Torino a gennaio, quindi gli ebrei continuavano a rimanere nelle loro case perché non c’era molta informazione su quello che era successo, se non attraverso il telefono da famiglia a famiglia. Dunque, stranamente le deportazioni sono avvenute in momenti diversi in varie città.

Riprendendo la domanda, nei primi giorni i conventi e le autorità cattoliche non erano preparati a quello che stava succedendo, però i conventi erano un territorio extra-territoriale, ossia non erano considerati di proprietà italiana, ma religiosa. Quindi, ufficialmente, i tedeschi avrebbero dovuto rispettarli, ma non c’era un documento ufficiale e solo nei primi di novembre il Vaticano ha deciso di dare questa extraterritorialità a tutte le organizzazioni religiose, in modo tale che potessero accogliere ebrei e che i tedeschi non avessero il diritto di entrare.

Oggi si può affrontare e riconoscere quando delle credenze si trasformano in azioni?

È impossibile cercare di capire quello che può succedere da un momento all’altro e vorrei ricordare che la famiglia di Piero Terracina è stata portata via non il 16 ottobre, quando c’è stata la prima retata, ma durante i nove mesi di occupazione nazista, quando i tedeschi hanno portato via diversi centinaia di altri ebrei, morti poi ad Auschwitz.

La famiglia di Piero Terracina si salvò dalla deportazione del 16 ottobre e i vari fratelli e i genitori si nascosero in luoghi diversi; si riunirono per la Pasqua per stare tutti insieme.

Nell’edificio dove si incontrarono, un vicino capì che tutta la famiglia era riunita, avvisò così i tedeschi: tutta la famiglia fu portata via, ma solo Piero tornò.

Un altro che si salvò dalla deportazione fu un ragazzo di nome Franco Cesana, che aveva solo quattordici anni quando ci fu l’occupazione tedesca a Roma; riuscì a fuggire e a salvarsi andando nell’Italia settentrionale. Si unì ai partigiani nei combattimenti contro i tedeschi, e fu ucciso proprio dalle pallottole di questi ultimi; fu il più giovane partigiano italiano ucciso in una battaglia contro i tedeschi.

Anche Primo Levi fu arrestato perché partigiano; soffrì in quel campo di sterminio riuscendo comunque a tornare per poi scrivere quello che vide. I tedeschi capirono che era ebreo dopo aver arrestato tutto il suo gruppo di partigiani, così fu mandato ad Auschwitz.

Tutte queste storie hanno dei particolari che sono veramente emozionanti se si pensa a un ragazzino di quattordici anni morto come partigiano e a Primo Levi arrestato perché partigiano.

Ci fu un’attività molto intensa tra gli ebrei sfuggiti alla deportazione, finché non furono liberi di partecipare alla lotta partigiana.

Ancora oggi ci sono idee che attecchiscono, ma si può cambiare per non ripeterle e comprendere quello che potrebbe accadere.

Come si può agire per evitare che tali discriminazioni possano poi avere un effettivo riscontro reale?

Viviamo in un mondo in cui ci sono molte persone non normali, che parlando di sé cercano di differenziarsi dagli altri, diventando antisemite o lanciando una bomba verso una Sinagoga, piuttosto che non facendo la carità a un povero, o aiutando un invalido ad attraversare la strada. Se si è delle persone buone e gentili si ha la coscienza apposto, ma nessuno ringrazia.

Se si è dei fanatici che dicono le cose più assurde, allora il giornale parla di ciò e questo fa sì che qualcuno possa inventare notizie e andare contro la razza ebraica.

Nei secoli sono stati scritti dei testi apocrifi contro gli ebrei e la gente li ha letti e ci ha creduto, oppure dicevano che gli ebrei bevevano il sangue dei bambini non ebrei.

Il fatto di inventare notizie assurde per far parlare di sé è una malattia che alcune persone hanno, andrebbero curate dagli psichiatri perché dimostrano una mancanza di cultura; basta studiare la storia dei popoli e si capisce dove sono gli errori di queste persone che vogliono solamente mettersi in mostra.

Ha mai avuto informazioni tramite amici o conoscenti che hanno avuto la fortuna di tornare dai Lager e di raccontare direttamente la loro esperienza?

Dopo che il periodo più tragico è finito, siamo tornati a essere liberi, abbiamo potuto incontrare tutti coloro che erano rimasti. Anche a Roma abbiamo avuto molte perdite e in tutta Italia ci sono state migliaia di persone deportate, quindi non si può sottovalutare questo numero.

Quando ci siamo ritrovati, abbiamo dovuto capire chi c’era e chi non c’era più e non abbiamo nemmeno potuto giustificare il perché c’eravamo ancora.

C’era quasi un senso di vergogna perché noi eravamo ancora vivi, nelle nostre case, liberi, potevamo tornare a scuola, rifare la nostra vita più o meno come prima, anche se non è stata mai più come prima perché non esiste solo il giorno della Memoria, che deve essere la memoria di quel 27 gennaio che ha aperto gli occhi al mondo su quello che era veramente il programma nazista, la memoria è quella di tutti i giorni perché non possiamo non pensare ai nostri parenti, ai nostri amici, alla mia compagna di banco che sono stati portati via.

Io da anni, prima ancora che esistesse il progetto Memoria, quando mi hanno chiamato a parlare di quel periodo, sono sempre andata nelle scuole, anche quando c’era meno possibilità di avere delle informazioni dirette.

È un ricordo che non possiamo cancellare, il mondo non ha imparato nulla da quello che è successo, noi dobbiamo sottolinearlo, qualsiasi capo politico può prendere di mira qualsiasi minoranza o qualsiasi avversario il giorno che decide di avere delle soluzioni rapide: dobbiamo solo credere nella democrazia. La parola democrazia la dico vergognandomi un po’, perché da una parte ha un significato preciso, dall’altro ci dobbiamo vergognare per come applichiamo questo concetto al giorno d’oggi.

Dopo la liberazione si è venuto a sapere quello che era veramente accaduto. Lei ha sofferto molto come tutta la comunità ebraica. Personalmente che motivazioni si è data per riuscire ad andare avanti?

Intanto il fatto di essere qui è quasi diventato un compito per ricordare quelli che non ci sono più e ogni volta che mi viene chiesto di partecipare a questo tipo di riunioni non mi oppongo mai, io non vado nelle scuole dicendo: “ Scusate io vengo qui e vi  voglio raccontare questo”,  ma devono essere le persone coscienti a voler sapere di più per evitare che questo possa accadere di nuovo contro altre minoranze. Non possiamo mai stare totalmente tranquilli anche se siamo delle persone che vivono la propria vita come quella degli altri.

Data la situazione grave nella società, quando uscivate per strada quale era la reazione degli abitanti?

Dato che comunemente l’acqua scarseggiava nelle nostre case e inoltre non era molto buona e poco potabile, andavamo alla fontana del quartiere dove vi era certamente dell’acqua migliore e in quel momento c’erano dei bambini e dei ragazzi del quartiere che ci chiamavano “sporche ebree, ebree!” e molto altro. Ecco qui, il paragone con oggigiorno in cui ci sono i cosiddetti “haters” via social che insultano in modo aggressivo la comunità: quando io ero piccola abbiamo vissuto la stessa condizione sociale con i ragazzi e bambini di quegli anni.

Se avesse la possibilità, che appello farebbe ai leaders mondiali odierni per costruire un futuro pacifico e senza discriminazioni?

Considerando la domanda molto impegnativa e corposa, dico prima di tutto che ci sono pochi leaders di cui condivido le opinioni, poiché non fidandomi di nessuno ci sarà sempre qualcuno che sarà più onesto degli altri e che si comporterà in base alla propria personalità e individualità nei confronti della politica. Per quanto mi riguarda, il mio appello per i leaders mondiali è avere il dovere di controllare dato il loro incarico, di difendere chi ha bisogno di essere difeso e non di appoggiare soltanto chi ha il potere politico, economico e il potere in sé. Dunque il loro compito dovrebbe essere quello di risolvere i problemi sociali che sono gravi in tutto il mondo, come ad esempio i profughi che vengono dalla Turchia e devono passare attraverso la Bosnia per poi arrivare ai confini del paese europeo, ma che è stato chiuso. Della politica mondiale ho un concetto molto negativo, poiché non riesco ad individuare un vero capo che possa essere degno di essere ricordato per le idee positive proposte.

Quale è stata la situazione nel dopoguerra per tornare ad una pseudo-vita normale in campo economico, politico e sociale?

Vi racconto la mia esperienza per rispondere a questa domanda. Ho avuto dei problemi con mio padre a dir la verità: lui era un ufficiale prima delle leggi razziali e venne cacciato dall’esercito essendo ebreo. Una volta nato un nuovo governo italiano antifascista e apolitico, mio padre è tornato alla carriera militare e per questo ho avuto un litigio con lui. Io avevo 15 anni, ero grande per ciò che avevo vissuto e ho avuto una discussione notevole con mio padre in quanto era un’assurdità tornare nell’esercito dopo essere stato cacciato, perché personalmente mi sarei vergognata di ritornare a quella vita. Nonostante tutto, ha avuto una carriera brillante, infatti è stato capo di gabinetto del Primo Ministro e Segretario Generale del Ministero, in cui ha cambiato nome da Ministero della Guerra a Ministero della difesa. Inoltre, era esperto in cibernetica e in varie scienze matematiche, quindi ha avuto molti interessi in diversi campi. Dunque inizialmente ho litigato con mio padre per la sua decisione, ma alla fine ero fiera della carriera che ha portato ad una sua rivincita.  

Secondo lei, data la persistenza di correnti discriminatorie, grazie al lavoro e allo sforzo dei testimoni si arriverà mai all’estinzione una volta per tutte delle correnti razziste?

Purtroppo l’eliminazione di tali pensieri non dipende dall’opera dei testimoni, ma piuttosto dalle convinzioni del singolo. Ci sono ancora persone che negano questa atroce vicenda come i negazionisti e ci sono addirittura persone che, nonostante riconoscano i fatti come realmente accaduti, li giustifichino e li ritengano legittimi. Secondo la morale umana, infatti non esistono giustificazioni all’omicidio, né tantomeno allo sterminio di intere etnie e popolazioni. Prendiamo ad esempio i bambini, quale motivo si può trovare che giustifichi l’uccisione di 1,5 milioni di giovani vite? Nessuno, tutti hanno diritto alla vita, razzisti e antisemiti sono solo il frutto dell’odio e non possiedono prove per sostenere il contrario.

Che vantaggi hanno avuto i mezzi di comunicazione moderni nella sua esperienza?

Ai tempi della deportazione tutti gli ebrei vennero privati di qualsiasi mezzo che permetteva la comunicazione con l’esterno e il resto del mondo. Questa sottrazione venne ricompensata dalla costruzione di una piccola radio in legno di 20 cm, più potente di quella a noi sottratta, capace di captare segnali fino a Londra. Grazie a questo strumento c’è stato modo di ricevere più notizie ed essere, almeno in parte, aggiornati sull’evoluzione del conflitto mondiale in atto. Nonostante le minime informazioni, queste ultime sono state un’ancora di salvezza per conoscere ciò che accadeva all’esterno, poiché ho provato sulla mia pelle l’angoscia dell’incertezza. A seguito della separazione dalla mia famiglia, non avevo alcuna possibilità di comunicare né con loro né tantomeno con l’esterno trascorrendo mesi nel dubbio più totale, che è subito sfociato in un grande senso di ansia e preoccupazione. Riconosco che se avessimo avuto a disposizione i mezzi di comunicazione moderni avremmo avuto sì più aspetti positivi, potendo essere aggiornati in tempo reale sulle notizie, d’altro canto anche i messaggi di razzismo si sarebbero diffusi con più facilità e, di conseguenza, il loro odio. Possiamo dire perciò che i mass media sono un’arma a doppio taglio che bisogna manovrare con attenzione. 

Secondo lei, le attuali forme di governo che spingono attraverso l’odio il malcontento comune della popolazione possono essere assimilabili a ciò che è successo un tempo?

Già un governo che approfitta del malcontento della popolazione per incrementare l’odio mi sembra che sia un governo da cacciare immediatamente, poiché non può ottenere nessun buon risultato. Il malcontento in genere può essere gestito da un governo per un uso politico interno, per riuscire ad avere la predominanza su altri partiti, ma è sempre un gioco un po’ sporco. Basti pensare al malcontento negli Stati Uniti con Trump o in Ungheria, sfruttare le situazioni è sempre esistito. Bisogna essere sempre informati attraverso i mezzi a nostra disposizione per contrastare un certo tipo di pensiero e intolleranza, ma anche sfruttamento della situazione.

Cosa significa ricordare?

Ricordare deve essere una specie di imperativo che implica non dimenticare mai e fare di tutto per evitare che tutto ciò riaccada a qualsiasi tipo di minoranza. È da presuntuosi imporsi sugli altri con una politica sbagliata, obbligando e facendo credere agli altri che sia giusta. 

Non bisogna imporsi, ma persuadere.

Le alunne della 5 AL

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