Intervista impossibile a Dante

Dante Alighieri, Beatrice e le altre: tutte le donne del sommo poeta e  della Divina Commedia
  1. Buongiorno Signor Dante, è un piacere conoscerla. Posso farle alcune
    domande?

    Buongiorno a lei! Mi dica pure, la ascolto.
  2. Come è stato il suo primo incontro con Beatrice?
    Eh, il primo amore non si dimentica mai. Era una tiepida mattina di Primavera
    ed io ero uscito di casa per andare a messa.
    Quando sono arrivato nella chiesa mi sono seduto al solito posto, sulla solita
    panca.
    Stavo ammirando la chiesa quando posai lo sguardo su una ragazza, la più
    bella del mondo. Il suo nome era Beatrice Portinari.
    Fu amore a prima vista, ma non potevamo parlare, tantomeno frequentarci,
    così ci limitavamo a scambiarci occhiate dolci.
  3. C’è stata un’altra donna nella sua vita, confinata in un angolo e di cui si
    sa poco, sua moglie Gemma Donati. Non era gelosa di Beatrice?

    Gemma mi fu promessa in sposa dal padre fin dal 1277, con una dote di
    200 fiorini e la sposai dopo la morte di Beatrice, per trovare un po’ di
    conforto al dolore. Il nostro era un matrimonio combinato, eravamo
    sposati ma non eravamo felici, infatti, durante i vent’anni dell’esilio non ci
    siamo più rivisti. Probabilmente la presenza di Beatrice e l’opera che io
    dedicai, è stato un grande dramma per Gemma, vissuta nel più totale
    nascondimento non volontario e nella rassegnazione, che però le ha
    permesso di vivere accanto a me senza mai ribellarsi e mettendo al mondo
    tre figli.
  4. Nel 1302 apprese di essere stato condannato all’esilio con l’accusa di
    baratteria. Perché non ritornò a Firenze per discolparsi quando ne ebbe
    l’opportunità?

    Accettando l’amnistia del 1315, avrei riconosciuto di aver sbagliato, di aver
    meritato di andare in esilio, come pure aver subito la requisizione dei beni.
    Con quell’amnistia Firenze mi avrebbe perdonato a caro prezzo: interpretare
    la parte del peccatore pentito. In questo modo Firenze non azzerava i conti
    con i fuoriusciti, ma li chiudeva a modo suo e a suo favore emanando la sua
    sentenza definitiva: io ero colpevole di tutte le colpe addebitate,
    appropriazione indebita, corruzione, tradimento.
  5. Perché ha scritto la Commedia?
    La Commedia nasce da una visione cupa della realtà presente e dalla speranza
    di un riscatto futuro. Io vedo davanti a me un mondo violento e corrotto.
    L’imperatore dimentica la sua funzione di assicurare la felicità terrena agli
    uomini e trascura di esercitare la sua autorità sull’Italia; la Chiesa, invece di
    perseguire il fine della salvezza delle anime, pensa solo alla potenza terrena,
    cercando di sostituirsi all’imperatore, ma così facendo, aumenta il disordine e
    si corrompe nella ricerca di beni mondani. Si scatena negli uomini la volontà di
    sopraffarsi a vicenda e nascono anche i conflitti tra fazioni e le lotte civili.
    Ritengo di essere stato investito da Dio nella missione di indicare all’umanità
    la via della rigenerazione e della salvezza. Per questo, ho deciso di compiere il
    viaggio nei tre regni dell’oltretomba, per esplorare tutto il male del mondo
    che si concentra nell’inferno, trovare la via dell’espiazione e della
    purificazione nel purgatorio, ascendere sino alla visione diretta di Dio nel
    paradiso. Tutto ciò che apprenderò in questo viaggio miracoloso, una volta
    tornato sulla terra, dovrò ripeterlo agli uomini mediante il mio poema, in
    modo che essi possano vedere la “diritta via” che hanno smarrita.
  6. Per tutta la vita ha cantato l’amore per Beatrice, fin da bambino ne era
    perdutamente innamorato e adesso che potrebbe star con lei per
    l’eternità se ne sta a spasso per i boschi?

    Beatrice è il mio amore, un amore nato in tenera età che niente e nessuno
    potrà mai scalfire. Beatrice è la mia musa, è il calore del mio cuore, il furore
    della mia passione, ma tra me e lei non c’è mai stato un amore carnale, ed è
    forse per questo che ancora conservo intatto il mio ardore per lei. Lei è
    l’elevazione dello spirito, l’idealizzazione del sentimento, e se stessimo
    accanto per l’eternità, tutto questo si perderebbe ed io non voglio che accada.
  7. Chi è la persona che ammira di più?
    Ammiro profondamente due persone: Brunetto Latini e Virgilio. Brunetto,
    notaio fiorentino, famoso studioso di retorica, è stato il mio maestro e da lui
    appresi la retorica, l’arte del ben parlare e dello scrivere elegante. L’ho
    collocato tra i sodomiti del terzo girone del VII cerchio dell’inferno. Questo
    episodio è una commossa rievocazione di un personaggio al quale mi legano
    stima e affetto, ma anche una condanna della sua condotta peccaminosa.
    Proprio in quell’occasione, Brunetto mi profetizzò l’esilio e io affermai di
    essere pronto a sopportare le avversità.
    L’altro grande poeta che ammiro è Virgilio. Lui fu per me un modello poetico
    di “bello stile” ed eleganza, autore e famoso saggio; poeta che rappresentò
    nell’Eneide un viaggio oltremondano; fu cantore dell’impero e di Roma. Il suo
    poema è stato per me una fonte di informazioni credibili e affidabili. Nella
    Commedia è l’allegoria della ragione umana, capace di vivere senza peccato,
    ma privo della luce della grazia divina.
  8. Perché l’hanno definita il “padre della lingua italiana”?
    Mettiamo in chiaro che l’italiano non esce dalla mia penna. Ho ereditato dalla
    tradizione una lingua ancora giovane e riservata, prima di me, quasi alla sola
    lirica amorosa, pur con qualche eccezione. Non sono stato il primo a usare il
    volgare in un’opera letteraria, ma colui che lo ha reso capace di un uso
    letterario senza limitazioni, dimostrandolo capace di toccare tutti gli
    argomenti. Credo di meritarmi il titolo di “padre” perché molte parole che ho
    usato e inventato, si usano ancora oggi.
  9. Come era la Firenze che Dante aveva visto e nella quale era nato e
    vissuto per trentasei anni?

    Innanzitutto, non era la Firenze della Cupola del Brunelleschi, di Palazzo Pitti,
    del Campanile di Giotto o di Palazzo Strozzi. Era una delle città più popolose
    d’Italia, ma non aveva ancora dei monumenti architettonici imponenti. Il
    centro cittadino era un complesso intrico di viuzze, case addossate le une
    sulle altre, fondaci e botteghe, dominate dall’alto dalle case torri delle
    famiglie più importanti della città, costruite per difendersi dai frequenti
    attacchi delle famiglie rivali. La città era piena di chiese e tra le tante, ce ne
    sono tre a cui sono molto legato: la prima è il Battistero di San Giovanni, dove
    ero stato battezzato; la seconda è la Badia fiorentina, una delle chiese più
    vecchie di Firenze, dove andavo spesso a messa; la terza è la chiesa di Santa
    Margherita, una piccola chiesetta vicino la mia casa, dove ho incontrato per la
    prima volta Beatrice, che andava di solito lì a pregare.
    10.È soddisfatto di tutto quello che ha fatto nella sua vita?
    Penso che la mia vita sia stata abbastanza significativa, ma per alcuni aspetti
    non sono pienamente soddisfatto. Non sono riuscito a tornare a Firenze prima
    della morte, non ho portato a termine alcune delle mie opere, non ho vissuto
    veramente l’amore nei confronti di Beatrice.
  10. Le rivolgo l’ultima domanda, Sommo Poeta. Crede che la sua
    Commedia abbia ispirato alcuni cantautori italiani?

    Certamente, si ravvisano dei collegamenti in canzoni di De Gregori, Guccini,
    ad esempio la canzone “Addio” del 2000, inizia con un verso molto simile al
    primo verso della Commedia (“nell’anno ’99 di nostra vita”) ma anche in
    giovani rapper come Ghali, nella canzone “Flashback” del 2019. In questa
    canzone si parla dell’assenza del padre, una tematica affrontata da molti
    rapper e trapper. Molti di questi cantautori hanno una vita difficile, un padre
    assente, un’infanzia complicata e l’unico punto di riferimento è la madre. Lo
    stesso Ghali, soprannominato “Poeta del rap”, durante un’intervista, ha
    affermato che quando era bambino andava a trovare il padre detenuto nel
    carcere di Bollate, una volta al mese e poteva fare un pranzo e stare a giocare
    con i figli degli altri detenuti, su di un prato pieno di farfalle. Pensava che
    questa fosse la normalità e che anche i suoi compagni avessero un padre in
    carcere. Questi cantautori cercano, attraverso le loro canzoni, di uscire da
    quella vita difficile, che è come una sorta di “selva oscura”, dalla quale devono
    trovare, piano piano, una via d’uscita.
  11. La ringrazio per avermi concesso del suo tempo e la saluto.
    Grazie a lei, è stata una bella intervista.
    Classe 3B sia

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